domenica 4 gennaio 2009

Giovani precari. Ma chi pensa al loro futuro in tempo di crisi?

Nell’era del progresso irrefrenabile e talvolta non controllato, ci troviamo a volte indietro in alcuni settori, o, peggio ancora, torniamo sui nostri passi in maniera inspiegabile ed assurda. Questo purtroppo è quanto accade oggi nel mondo del lavoro, mondo in cui, dopo tutte le conquiste fatte al seguito di dure ed aspre lotte, per ottenere salari decenti e che consentano un’esistenza dignitosa, ci troviamo proiettati all’indietro in maniera assurda e sconsiderata, senza alcuna apparente e spiegabile motivazione. Vediamo i sacrifici dei nostri giovani, su cui dovrebbe rifondersi la speranza della società del nostro secolo, depauperati di sogni, speranze e ogni altro. Si, depauperata della speranza, in specie, di un futuro certo e sereno, depauperata delle faticose lotte sindacali fatte dai nostri predecessori ed il tutto in nome del guadagno e del profitto facile e sfrenato.
Fino agli anni novanta l’unica possibilità per un’impresa, qualora si trovasse in condizione di dover assumere, seppur per un periodo breve e limitato, una certa quantità d’unità lavorative, era ricorrere ad una forma contrattuale di lavoro subordinato a tempo determinato, che vedeva tutelati i diritti del lavoratore al percepimento di un giusto salario, del pagamento dei contributi, ferie, tredicesima e liquidazione, il famoso TFR (trattamento di fine rapporto). Dopo il 1996, invece, le cose sono state rese più facili. Tali forme contrattuali sono poi state estese soprattutto ai Call Center consentendo alle aziende un risparmio pari al 40% rispetto al lavoro dipendente, dando cosi il via ad una lunga serie d’abusi.
La legge Biagi poi, seppur nobile nelle intenzioni, ovvero nel tentativo di bloccare tali usi impropri con la trasformazione dei co.co.co in contratti di collaborazione a progetto, ha avuto una non corretta applicazione ed ha portato inevitabilmente a più serie e gravi conseguenze, rese possibili dalla particolare attuazione del governo di cenrtro-destra. Il risultato è stato la riduzione degli stipendi e l’aumento della precarietà, ma con conseguente vantaggio da parte delle aziende, specie per lo sfruttamento di elevate professionalità. Il 40% del lavoro precario è, infatti, costituito da laureati, a spregio di quanto fatto da famiglie che si sono sacrificate nella speranza di dare ai propri figli un futuro migliore grazie allo studio, che dovrebbe essere un investimento di risorse economiche e non solo ai fini di una futura miglioria sociale ed economica del singolo. Tuttavia pare, dalle recenti evoluzioni del mercato del lavoro, che tutto ciò non valga più.
La precarietà da luogo a sopraffazioni ed abusi, da luogo a mobbing, impedisce ai giovani di costruirsi un futuro, di creare nuovi nuclei famigliari, di ottenere prestiti, insomma impedisce ai giovani di crescere e diventare adulti responsabili.
Eddy Manzan

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